07 dicembre 2010

Oggi tutto sfugge.
Rimane solo la banalità di ciò che non va più e del male che lei che non mi conosce mi fa.

Oggi il dolore che sento qui tende all'infinito e non riesco a ridurlo con nessuno equazione di felicità
Oggi ho il fiato corto.
Oggi mi sembra di annegare.
Oggi neanche il profumo di lui attaccato ai vestiti nell'armadio mi tira su.

Oggi sto male doppio. Oggi è tutto pianissimo e poi fortissimo
e io schiacciata in mezzo.

02 dicembre 2010

ammiccamenti ribelli

Ieri non sono andata a manifestare.
Ignava mi dico. Ignava fuori corso.
Ma devo studiare io! Studiare in un’università che non c’è più, ma pur sempre studiare.
Ieri comunque ho combinato poco. Protesta silenziosa, mi dico; ma la coscienza non mi lascia stare.
Esigente lei, io meno.
Sta di fatto che è già oggi e stamattina ero in ritardo.
Pioveva, ero in ritardo, il tram non passava, ho beccato tutte le pozzanghere dagli Eremitani a piazza Mazzini, mi si è rotto un auricolare e mi sono pure scordata di comprare il giornale.
Ecco: fuoricorso, ignava e disinformata.
Ma recupero in pausa pranzo. Panino, acqua, caffè e Il Mattino di Padova.
Lo afferro dall’espositore  dei giornali e non mi accorgo lì per lì dell’immagine in copertina.
Colpevole disinformata, travesto la mia avidità con la noncuranza di un gesto distratto, annoiato quasi.
Ma in realtà voglio sapere tutto di ieri: chi c’era, cosa ha fatto chi, chi ha detto cosa, mentre io me ne stavo chiusa al freddo in  biblioteca.
Il giornale è piegato e stropicciato e io, prima di aprirlo, guardo i titoli sulla mezza pagina iniziale.
Al centro c’è un’immagine: due ragazze con  capelli scuri, lunghi fino alle spalle e mossi, sollevano cartelli con scritto “Ci stanno togliendo anche i vestiti”.
Mi fermo.
Guardo meglio e noto che hanno le spalle nude.
Che freddo – penso io – che mai mi metterei una maglia scollata per andare a manifestare.
Ed è allora che un dubbio si insinua fastidioso: no – mi dico - no, dai. No.
Lenta, lentissima apro il giornale e vedo quello che speravo non fosse: le due ragazze sono seminude. Semi nel senso che l’unico indumento che hanno è il reggiseno. Nero. Entrambe.
Allora, dopo lo sbigottimento iniziale sento montare la rabbia. Tanta rabbia.
Rabbia per le mani degli uomini che prima di me avranno sfogliato quel giornale, facendo pensieri molto poco attinenti con la riforma universitaria.
Rabbia per quelle due ragazze, così poco coscienti del loro essere donne. Non tette, non corpi, non pubblicità.
Perché in fondo è pubblicità che loro sono diventate. La pubblicità, sessista, contro la riforma universitaria.
Rabbia anche perché al posto loro non c’erano due ragazzi in mutande.
Poi però mi hanno fatto anche pena e ho pensato alla gioia inconsistente di vedersi sulla prima pagina del Mattino.
Saranno state loro ad avere pensato la trovata o qualcuno le avrà mal consigliate?
Se anche posso, sforzandomi molto, dubitare riguardo al sessismo del loro gesto, certo non posso farlo sulla scelta di metterle in prima pagina.
E allora mi arrabbio davvero. Anche con me. Io che mi sono scordata di leggere i nomi (o forse non c’erano nemmeno), di scoprire che facoltà frequentano; insomma di vederle come donne e non solo come mezzi busti di carne e capelli neri.
Forse se ieri fossi stata lì e le avessi viste …
Forse se ieri io …
Forse se …
Forse niente.
Il fatto è che io le vorrei donne donne. Non l’altra metà dimenticata. Non oggetti sessuali la cui immagine è governata dai bisogni maschili. Non le ragazze immagine di una protesta che perde così parte della sua nobiltà.
Io vorrei loro con i megafoni in mano, non i soliti maschi  che poi mettono le foto su facebook che fa tanto leader degli anni ‘70.
E allora mi incazzo anche con la sinistra, che non ha mai sollevato il conflitto di interesse e queste ragazze forse sono cresciute a biscottini Plasmon e culi all’ora di cena.
“Non più puttane, non più madonne, finalmente donne” diceva uno slogan femminista.
Ma finalmente quando?! Cosa abbiamo imparato noi ragazze dal femminismo, se nemmeno ci ricordiamo che niente ci è stato regalato, che le conquiste non sono mai acquisite per sempre.
Quei cartelli sono ammiccanti, destano sorrisetti ironici, pruriginosi. Sono furbi, accattivanti e scorretti. Non politicamente scorretti, quello no. Nulla di più ovvio e banale di una bella ragazza svestita.
Scorretto perché anche noi donne studiamo – soprattutto noi donne, dicono le statistiche - e abbiamo il diritto di protestare con serietà e tutta la gravità richiesta dalla situazione.
“E’ così che l’offerta visiva che fa di sé la donna dei primi anni novanta è in totale  contrasto con quello che vorrebbe essere: una donna che ha diritto a tutto”, scriveva Natalia Aspesi nel 1993 e ad oggi poco è cambiato.
Non voglio cadere in facili generalizzazioni.
Si, ok le ragazze svestite erano solo due. Ok magari era uno scherzo. Va bene che era per attirare l’attenzione, va bene tutto.
Ma io non riesco a  non pensare che nelle trasmissioni televisive Mediaset gli uomini sono sempre vestiti e le ragazze mezze nude.
Poi penso che la riforma universitaria è passata.
Due a zero per Berlusconi.

bisogno di bucce

Come odio la parola bisogno.
Ho bisogno oppure ho un bisogno.
Schifo uguale.
Il fatto è che a me non piace aver bisogno, essere dipendente.
Ho bisogno significa che senza quello non vivi.
Significa che ti manca qualcosa, che sei a metà insomma.
Significa che sei fragile, debole, sei imperfetta.
Sei come un'arancia senza la buccia che dopo un po avvizzisce.
Come mi piacciono le bucce. degli agrumi.
Mi piacciono d'inverno sopra la stufa che così fanno profumo in tutta la casa.
profumo di nonna.
Le bucce sono importanti. parecchio.
Le bucce sono lo strato che metto tra me e il bisogno di te.