12 febbraio 2012

vita da groupie

Ogni tanto leggo un blog che poi è un sito che parla di musica.
Musica di tutti i tipi: ascoltata, vista, ancora da venire, ricordata.
Musica di uomini e per uomini generalmente.
Nel senso che i redattori sono quasi solo uomini e parlano quasi esclusivamente di musicisti anche loro uomini.
Uomini, uomini, uomini...che palle.
Come se la musica fosse solo affar di uomini?!
No cari miei.
E le musiciste bravissimi tipo Florence and the Machine? e le giornaliste di musica bravissime tipo...insomma so che di sicuro c'è nè una...e e e le groupies dove le mettiamo?
Perché tutto sto azz di preambolo (che poi i redattori di sto sito mi stanno pure simpatici, sia chiaro) serve solo per parlare delle groupies.
Io sono stata una groupie in un certo senso.
No una gruopie seria eh, quello no...una groupie sfigata, una groupie per diritto naturale ecco.
Nel senso che stavo con il bassista.
Ero la fidanzata del fucking bassista, oramai mio fucking bassista ex.
Ho sempre pensato alla groupie come a una che ama la musica del gruppo, che sa tutte le canzoni, che non si perde un concerto, nemmeno quello nel patronato di Anguillara. Una che fa le foto ai concerti, foto bellissime perché trasudano amore e devozione, e poi si inventa la maglietta del gruppo e la indossa sempre anche due concerti di fila (uno il venerdì e uno il sabato per intendersi), anche se puzza. Sopratutto se puzza.
La groupie è un animale da back stage secondo me.
Una che si muove con disinvoltura tra ampli, casse, testate, microfoni, aste (c'è altro? scusate ma in cinque anni questo ho imparato!) e parla con tutti: il cantante dall'ego smisurato, il chitarrista ormonalmente disturbato, il batterista che disturba ormonalmente (me), il tastierista tantosimpatico, i fiati con evidenti problemi di socialità causati dall'abuso di stupefacenti, l'ex bassista nostalgico, quello di fucking ruolo, le morose degli altri, il gestore del locale, insomma tutti.
Ecco se questa è la definizione della groupie allora posso dire, con sufficiente certezza, che io non lo ero.
Per prima cosa a me la musica dei gruppi in cui lui suonava ha sempre fatto cagare perché era fuoritempo rispetto al mio sviluppo biologico.
Suonava funky quando a me il funky faceva schifo, e avrei preferito facesse metal; suonava metal quando a me aveva rotto le palle; suonava ska quando io avevo 25 anni e non 18.
In secondo luogo, io non lo seguivo in tutti i concerti; alcuni si, è chiaro, ma non tutti.
E in nessuno, dico nessuno, ho mai indossato la cazzo di maglietta del gruppo. Perché? Semplice. Il logo faceva schifo. Era fuori moda e kitsch come la Mussolini, come i pantaloni sega-chiappe di Brandon in Beverly Hills (ma io avrei voluto mi sposasse comunque), come le scarpe da avvicinamento della mia compagna del liceo, come le copertine dei libri che prendi alla biblioteca di quartiere, come i vestiti Tally Weijl, come gli occhiali di Riccardo Tesio.
Insomma colcazzo che io mi metto quella roba, ecco.
E le foto. Vogliamo parlare delle foto? Io ci ho provato, si una volta, una sola. Poi ho abbandonato sconfitta, miseramente sconfitta. E si che mi sembrava di aver avuto delle idee magnifiche! Avevo fatto delle inquadrature degne di David Lynch, dei primi piani che neanche non so...ditemi un fotografo bravo...ecco uno bravo bravo!
E invece...'na merda. Sfuocate, gialle, zero profondità.
A cosa si riduceva quindi il mio ruolo di groupie visto che non mi piaceva la musica, non facevo foto, non mettevo la maglia del gruppo e nemmeno rimanevo in reggiseno nero come-fanno-le-fighe-ai-concerti-metal?!
Comunque, riguardo a questo, io ho provato a spiegarglielo al mio ex, ci ho provato per cinque fottutissimi anni a spiegargli che se una ha una miserrima prima è inutile che stia con le tette al vento che fa cagare, sfigura contro le valchierie taglia quarta per un metro e ottanta, capello nero drittissimo e trucco dark che pogano al gods of metal!
Ma lo capisci babbeo che se io, che sono bassa meno di un metro e sessanta, capelli corti, occhi chiari, pelle chiara, tutto chiaro, senza tette, culo piccolo mi metto mezza nuda sembro la figlia idiota delle valchirie?! Lo capisci che lo faccio per te? Lo faccio per noi? Per il nostro amore? No. Non capiva. Pazienza.
Beh ma almeno sarai stata socievole con gli altri musicisti bruttastronza!? Direte voi.
E invece no.
Io ai suoi concerti mi sono sempre onestamente rotta le palle.
Trovavo stremante e inutile l'attesa, non avevo nulla da dire agli altri musicisti, alle loro fidanzate tutte molto io-sono-la-morosa-del-cantante, e nemmeno al proprietario del locale con cui bisogna fare i simpatici per forza.
Io non sono il tipo di donna che "ti seguirò in capo al mondo". Io sono una che prima vengono i cazzi miei.
Ed infatti il problema stava tutto lì: fare la, sepur tarocca, groupie mi impediva di farmi i cazzi miei.
Io amo, adoro farmi i cazzi miei, trovo impensabile perdere una giornata intera tra tragitto-montaggio-prove-sound check (che poi non ho mai capito se è la stessa roba o no)-cena merdosa offerta dal locale-concerto-smontaggio-tragitto-scopata.
Chiaro che se il concerto fosse mio (ma io ho abbandonato le velleità musicali alle medie quando mio nonno mi spacco il flauto perché non ne poteva più) o se almeno la musica mi piacesse lo farei con piacere,ma non era, appunto, quello il caso.
E adesso? Ora che groupie tarocca non lo sono più?
Me lo sono chiesta proprio l'altro giorno quando, facendo (nonlofacciopiù, nonlofacciopiù, nonlofacciopiù) la stalker delcazzo su facebook (diotimaledica) ho visto che il fucking ex bassista stronzo, di groupie, mica tanto tarocca, ne ha un'altra. Ebbene si. Solo che lei, a differenza di me, è un groupie groupie; vera insomma.
Intanto è alta, con i capelli neri e le tette grosse (non sogghignate stronzi!) quindi riuscirebbe a lottare a suon di tettate con le valchirie in reggiseno. Poi sa fare le foto. Foto carine (non vi dirò mai, mai e poi mai che sono belle!).
Lo segue a tutti i concerti e scommetto, che indossa pure la merdosa maglietta!
Ah, quasi dimenticavo: è la migliore amica del chitarrisista ormonalmente disturbato e conoscente di vecchia data di tutti gli altri.
La cosa mi ha dato fastidio all'inizio, sopratutto la parte delle foto devo ammettere.
Io sono una stronza competitiva; andrei a fare un corso di fotografia pur di imparare a inquadrare uno stupido cucchiaino da the e farlo sembrare "cool" (che lo so che lei dirà così e scriverà tutte le didascalie in inglese sotto le sue merdose foto su flickr). Però non lo farò. Lo giuro.
Insomma un po' mi infastidisce che sia più a suo agio di me nel fantastico mondo del back stage.
Ma poi o pensato...che ci posso fare se per me è proprio un problema strutturale, biologico; io non sono fatta per, ecco.
Perché:
non sei una vera groupie se ogni due minuti pensi "dio fa che finiscano" o "dio portali via che non sono degna" o ancora "no il bis no che inizia report", vero?
Non si può fare la groupie seria se sei allergica a frasi come: "due cuori e una capanna", "a me quello che decide lui va bene", "no sabato non posso perché seguo mio moroso in concerto", giusto?
E non si può nemmeno vedere concerti belli se, per amore ti si crepa la retina e ti sanguinano le orecchie a forza di cover band infime, no?
Ma sopratutto: non si può leggere Paulo Coehlo (o Fabio Volo, a voi la scelta) sorseggiando Moet & Chandon converrete con me?

10 febbraio 2012

Stetti attento, comunque, a non impegnarmi mai troppo in niente, nè nel lavoro nè nei rapporti: ero convinto che avrei potuto ricevere una telefonata di Charlie in qualsiasi momento, e di conseguenza volevo tenermi pronto a rientrare in azione. Ebbi dei dubbi persino circa l'aprire il negozio mio, caso mai Charlie volesse che la seguissi all'estero e il negozio mi impedisse di muovermi abbastanza in fretta; matrimoni, ipoteche, paternità, erano cose del tutto fuori questione. Ma ero anche realistico: ogni tanto aggiornavo la vita di Charlie, immaginavo tutta una serie di eventi disastrosi (viveva con Marco! Compravano casa assieme! Lo sposava! Restava incinta! Diventava madre di una bambina!), tanto per non lasciarmi cogliere alla sprovvista(...) Non c'era avvenimento che non potessi controllare; niente di quello che lei e Marco potevano fare mi toglieva dalla testa l'idea che la nostra separazione fosse solo momentanea. Charlie e Marco, che io sappia, stanno ancora insieme, e io, oggi come oggi, sono di nuovo solo

(Nick Hornby, Alta fedeltà)

03 febbraio 2012

Camposampiero: non è un ospedale per donne

Sara, che non si chiama Sara, è molto gentile. Carina, si, carina. Non bella ma carina. La cosa che mi piace di più di lei è la voce, una voce dolce, squillante. Tipo quella di Biancaneve. Voce per cantare con gli uccellini. Ortopanto detto da lei sembra quasi una bella parola.
Sara, che non si chiama Sara, è un’infermiera e lavora nel reparto di ortopedia femminile dell’ospedale di Camposampiero. Sara scherza con le pazienti, le ascolta, non dice mai di no; è paziente soprattutto. Paziente con i pazienti intendo dire. Che poi qui i pazienti sono le pazienti;  tutte donne tra i 50 i 90. Sono quattro giorni che giro per i corridoi, quattro giorni bagno letto, letto bagno, e di donne giovani non ne ho vista nemmeno una.
Il reparto si trova al quinto piano, area rossa. Nel tabellone che da le indicazioni per i visitatori smemorati come me leggo che c’è pure la “sala gessi”. Caspita.
Il reparto è brutto, molto brutto. Quattro quadri tentano, con scarsi risultati, di rallegrare l’ambiente. Inutile, sono brutti anche loro e poi su queste pareti sembrerebbe brutto persino il vostro quadro preferito. Mai prima d’ora avevo visto tante varietà di giallino e verde oliva, tutte ugualmente brutte. Passiamo all’arredamento: i letti sono nuovi, quelli almeno si, ma le porte no, le padelle no, gli armadietti no, i bagni no. Anzi non i bagni, il bagno. Si perché nel reparto di ortopedia femminile dell’ospedale di Camposampiero c’è un solo bagno. Un solo bagno attrezzato per 22 posti letto.
Un po’ poco direte voi. Si, effettivamente sarebbe un po’ poco anche per ventidue persone in salute. Immaginate se le ventidue persone fossero donne, tutt’altro che in salute, che si muovono a fatica con bastoni, girelli, spalle e braccia di parenti. Ventidue donne con braccia, gambe, bacino, anche mani o piedi rotti. Ora provate a pensare se queste ventidue donne avessero un’età compresa tra i 50 (poche, vi assicuro, poche) e i 90. Ci avete pensato? Ve le siete immaginate?
Bene. Ora pensate a queste ventidue donne che devono andare al bagno, farsi il bidè e anche la doccia se rimangono qui per molti giorni.
Pensate a delle donne incontinenti; ventidue donne incontinenti che usano il bagno ed il bidè con una frequenza per noi inimmaginabile, e vorrebbero farlo con un po’ di privacy, in maniera decente, dignitosa, perché essere vecchi non significa non avere una sessualità o organi genitali.
Se proprio vogliamo esagerare provate ad immaginarvi mentre reggete vostra nonna, ottantaseienne, incontinente con lesione alla spina dorsale che deve, ora subito, immediatamente, andare al bagno. La aiutate ad alzarsi dal letto, piano, mi raccomando piano; avanzate con la stessa velocità di crociera verso il bagno e finalmente, davanti l’agognata porta, una settantenne in carrozzina vi taglia la strada e vi ruba il bagno. Cosa fate? Dove la portate? Ecco la situazione è più o meno questa.
Cosa c’entra Sara, che non si chiama Sara? Centra perché mi ha detto un segreto. Sara mi ha detto che due metri più in la, dopo la porta con la targhetta “ortopedia maschile” c’è un reparto nuovo, nuovissimo: porte nuove, pavimenti nuovi, colori nuovi, televisione in ogni camera (e non dite che a voi non interessa, che tanto non la guardate! Provate a pensarvi a 70 anni con la catarratta che vi impedisce di leggere i libri e una gamba rotta...forse vi interessa vero?)e bagni. Si bagni, plurale. Perché il segreto è che nel reparto maschile ci sono bagni in ogni camera, bagni con doccino così ci si può fare il bidè direttamente seduti sul water.

Bagni in ogni camera per uomini la cui età media è non 70 ma 40 anni. Uomini per cui usare il pappagallo è molto più facile che per le donne usare la padella. Uomini che a guardare bene la situazione forse hanno meno bisogno di bagno in camera e doccino, rispetto alle nostre ventidue signore.
Tant’è che il reparto nuovo è per loro.
«Ma Sara, chi l’ha deciso? Perché è stata fatta quest’assurdità?»
«E’ stato il capo sala che è un maschio…insomma, uno stronzo»  dice lei.
«Maschilista» la correggo io (anche stronzo comunque)
«E’ talmente stronzo che le carte di dimissioni per le donne sono le stesse degli uomini perché non vuole sprecare carta e tempo per dei fogli intestati “ortopedia femminile”. Per lui le donne non esistono.»
«E non si può fare niente?» chiedono le signore in coro
«No» risponde Sara, che non si chiama Sara, con la sua voce da Biancaneve che però questa volta, gli uccellini li avrebbe fatti scappare via.