Questa è la via degli orologiai. Ci sono le botteghe dei più vecchi orologiai della città. Orologiai artigiani. Guarda che belle! Lo sapevi? Le avevi mai notate?
Scuoto la testa – per dire no no - tra me e me – e forse anche perché non mi interessa molto. Mi sembra una cosa in più, una curiosità vizza, così poco consona al tuo aspetto. E così la lascio scivolare via tra i pensieri poco importanti e non ci penso più …
Fino ad oggi. Oggi passando per quella via stretta ad un altro lui, penso a quella frase e vorrei dirla all’uomo che mi sta seduto di fronte ma poi mi freno. Mi freno perché se narrassi a lui quell’aneddoto curioso, libererei il pensiero di te.
Non ricordo molto di quel giorno; quattro anni non sono tanti ma nemmeno pochi. Certi ricordi sono fragili, mancano della concretezze che gli dà l’attenzione subitanea. Il ricordo degli orologiai è uno di questi.
Ricordo io dietro di te in vespa, il vento quello si me lo ricordo. Ricordo che avevamo da poco iniziato il primo anno di università. Tutti e due. Stessa età, stesso liceo, stessa classe, stessi amici. Stesso stupore per tutto quel nuovo che ci veniva incontro, che ci ingoiava. Tu eri giovane e fresco, avevi lunghi riccioli scuri e labbra morbide e piene. Labbra da baciare si dice, ma se lo dico delle tue (com’erano allora) non è per ossequio ad un detto trito. Le tue labbra erano per me irresistibili. Mai più ho dato e ricevuto baci che facessero scattare con tanta repentinità la voglia di fare l’amore.
Per me il bacio non è e non è mai stato accessorio. Mi piace baciare ed essere baciata di quei baci lunghi e struscianti- da adolescente dice il mio lui d’oggi- che ti lasciano umida fino al naso.
Forse cedo troppo all’idillio del ricordo ma mi piace pensare che quei baci che ci davamo erano così belli perché la tua bocca era proprio quella giusta per la mia, così per la lingua, per la consistenza della saliva e anche per i denti ... quel dente, quarto da sinistra che avevi ancora di latte.
Allora mi infastidiva quel tuo difetto, forse perché tu per me eri prima di tutto bello. Del mio lui d’oggi accetto tutto senza fiatare: il naso all’ingiù, le orecchie e i denti sporgenti, tutto. Di te nemmeno quel piccolo dente di latte. Solo uno. No, nemmeno quello.
Stonava e quasi inconsciamente maledivo tua madre per quel difetto genetico (si perché ce l’aveva anche lei). Io ti volevo perfetto come nelle foto migliori.
Mi sono sempre detta senza pretese ma senza pretese in realtà non lo sono mai stata … intransigente mi dicevi (e me lo dici ancora oggi … ma questa è un'altra storia), ma poi ci ridevi sopra con me perché ti divertiva avere una ragazza decisa. Decisa dicevi, ma poi io, da sola, ho scoperto che ero solo impaurita.
Impaurita di tutto quello che non andava in me e che non sapevo proprio se avevo la forza di cambiare, di migliorare … e allora molto meglio il neo-esistenzialismo di maniera. Tutti sono stati esistenzialisti a 19 anni. Vero ma non solo...
Mi chiedo oggi se io avessi rivelato a te quei discorsi che mi tenevo dentro come sarebbe finita. Se io avessi scaricato su di te la stessa intransigenza che rivolgevo agli altri, tu che avresti fatto? La realtà è che non lo so, non lo posso sapere, e tuttavia mi trovo a sperare, ancor’oggi, in una tua decisa presa di posizione che mai avresti potuto assumete, soprattutto con me.
Penso a quella mattina ( o pomeriggio, non lo so più) ventosa in motorino, ai tuoi pensieri profumati. Quale ragazzo di 19 anni bello e atletico, con i riccioli neri, le labbra carnose, gli occhi pensierosi, pensa alle vecchie botteghe degli orologiai?!
Forse fu così che inizia a pensare che di stonato non ci fosse solo il dente di latte …
E invece tu ci pensavi … chissà quante erano le cose che pensavi e non mi dicevi. Ti sommergevo con le mie chiacchiere. E tu zitto. Mi avessi preso e scosso forte per le spalle, sbattuta da parte, urlato smettila … forse non avrei visto stonato più nemmeno il dente di latte. Chissà.
Oggi sono qui a tentare di restituire consistenza ad un ricorso e tuttavia non ci riesco. Fatico a riprenderlo perché non so nemmeno io bene dove sia. Banalizzato, ecco come l’ho trattato. Il ricordo e pure te. E ora pretendo di recuperarlo intatto come lo vissi allora.
Ci provo, ci provo: Io e te in vespa, io dietro, lungo via Cesare Battisti, ora di pranzo – si, mi sa di si perché le serrande erano abbassate- mi pare di ricordare che dicesti “quando sono aperte puoi vederli che lavorano, fai attenzione la prossima volta che passi”. Fare attenzione ….. e di nuovo mi distraggo, mi sfugge.
Allora: io e te in vespa lungo via Cesare Battisti, ora di pranzo, direzione facoltà di scienze statistiche dell’università di Padova … quanto l’ho odiata quella facoltà. Io mi ero iscritta a lettere invece, un po’ perché non sapevo che altro fare un po’ perché mi credevo una “ poetessa della domenica”… ovviamente allora non credevo di essere “della domenica” (non conoscevo nemmeno Sereni all’epoca, figurarsi l’apparato critico del meridiano). Dall’alto del mio scranno, domenicale appunto, guardavo te e i tuoi compagni con estrema sufficienza. Non che oggi io li consideri persone ragguardevoli … forse però proverei a conoscerli, proverei a trovarci almeno un po’ di buono. Ma allora no. Allora era inconcepibile. Quando dovevamo uscire con loro, io mi preparavo per ore per fare colpo con discorsi aulici e culturalmente ispirati, poi si usciva e questi nemmeno mi badavano, si ubriacavano in bar molto poco stilosi e via, via che il livello alcolico cresceva, cresceva anche l’imbarazzo che i loro comportamenti suscitavano in me.
Banalità e cattivo gusto, ecco cos’erano per me gli studenti di scienze statistiche. Va da se che se tu stavi con loro, e già avevi un dente di latte fuori posto, le cose stonate aumentavano.
Di nuovo: Io e te in vespa, vespa grigia, con il bauletto se non erro, lungo via Cesare Battisti, più o meno l’ora di pranzo, diretti alla tua facoltà. Tu ti volti verso di me dolce (si perché dire dolce di te non è retorica), mi sorridi, anzi accenni un sorriso: alzi in maniera impercettibile gli angoli della bocca e il tuo viso si fissa in un’espressione beata … quell’espressione da risveglio del mondo mi viene da dire. Penso ai sorrisi così che mi avrai rivolto in tre anni e mi maledico per tutti quelli che mi sono lasciata sfuggire, che non ho apprezzato, che non ho gustato. Perché non notavo che quando sorridevi così i tuoi oggi raggiavano dolcezza? Quella dolcezza che 4 anni fa era per me e io la buttavo alle ortiche perché ne avevo troppa.
Io e te in vespa, lungo via Cesare Battisti, era inverno penso, o forse no, perché di solito non mi piaceva girare in vespa d’inverno. Ti volti, mi sorridi mi racconti che lungo quella via ci sono gli orologiai più antichi di Padova, che fanno il lavoro tutto loro e che se passo durante l’orario di apertura posso vederli lavorare dalle piccole vetrine che, passando ora in velocità dietro di te, mi sembrano affumicate. Lo dici per farmi entusiasmare, per coinvolgermi, o forse stai cercando di attrarre la poetessa della domenica, la studentessa iscritta al primo anno di lettere moderne. Non ti bado io, penso ad altro. Come ho sempre fatto fino a poco tempo fa, fino a quando ho capito che vale comunque la pena di tentare … di migliorarsi.
Penso forse a quanto è grosso il libro di latino che devo studiare, o forse a mia madre che se torno tardi recriminerà per giorni, o più banalmente al fatto che ho freddo alle gambe sotto i jeans leggeri e non vedo l’ora di arrivare a sta benedetta facoltà. Penso che è meglio che guardi la strada che via Cesare Battisti ha così tante laterali e la gente a piedi non guarda mica sai! Penso che a me degli orologiai non me ne frega niente, che è una curiosità da vecchi, stantia, come i loro vetri scuri e sporchi. Penso che potevi dirmi qualcosa di meglio. Penso che non penso nemmeno per un attimo di darti attenzione di cullare il tuo pensiero, di annusarlo, di sbirciarci dentro così come avrei dovuto fare in una di quelle botteghe.
Me lo dici perché stanno chiudendo, perché è tardi … se non ora quando avrei potuto vedere il lavoro di un artigiano orologiaio? Ma a me non interessa. Ah ok e chiudo lì.
Non l’ho più percorsa a piedi via Cesare Battisti, solo di recente ci sono passata due o tre volte in motorino. Una con il mio lui d’oggi e due con un amico d’oggi a cui però racconto molto del mio ieri … eppure nemmeno a lui ho raccontato degli orologiai. E’ un pensiero che ho tenuto per me, l’ho tenuto stretto, felice di averlo recuperato in chissà quale piega dimenticata del mio cervello. Ho quasi esultato, perché per me strappare qualcosa al deterioramento della memoria è una piccola sfida vinta. Vinta contro di me e la mia fallacità … certi vizi di onnipotenza sono duri a morire, ma perlomeno oggi sono più innocui.
Penso che ci passerò prima o poi a piedi per via Cesare Battisti. Non so se avrò il coraggio di entrare nella bottega di un orologiaio, ma sicuro che ci guarderò dentro, e spero non sarà durante l’ora di chiusura.